La bellezza non basta (più): una riflessione da designer nell’epoca post-Instagram

Ho sempre pensato che l’estetica fosse un valore.
Non una scorciatoia né un “trucco magico”.
Ma un modo per parlare con più profondità, per raccontare chi siamo insieme alle parole, a volte ancora prima del testo scritto.
La bellezza, per me, ha avuto (e ha) una funzione precisa: dare forma a un pensiero, mettere ordine, suggerire un punto di vista. È stata il mio linguaggio, e in certi momenti, anche il mio rifugio.
Eppure, negli ultimi anni, siamo statə così immersə in un’estetica levigata e accattivante – quella del design post-Instagram, come si usa dire – da confondere il mezzo con il fine.
Un’etichetta comoda, certo, ma anche ambigua: perché “grafica post-Instagram” vuol dire tutto e niente. È diventata una scorciatoia linguistica per indicare un certo tipo di immaginario visivo che ci ha modellato, sedotto, e talvolta intrappolato.
Ovvio che negli ultimi tempi non ho potuto non notare che le modalità comunicative e visive di brand e attività sui social – ma non solo – siano cambiate. Era ora.
Il feed curato, carino, perfettino, la palette perfetta, la tipografia scelta con attenzione — tutte cose che un tempo mi sembravano la base di una comunicazione efficace — sembrano non bastare più.
O per meglio dire: sembrano non interessare più come prima.

Indice dei contenuti
ToggleNon è solo questione di Instagram
L’estetica da “feed perfetto” sta attraversando una crisi di efficacia.
Non è (solo) Instagram a cambiare: è il nostro modo di comunicare, più frammentato, più accelerato, più istintivo.
I professionisti del marketing digitale più preparati e informati lo dicono da parecchio: “Il problema non è più solo l’estetica.”
All’inizio non ero d’accordo. Pensavo che i contenuti che non funzionavano fossero, prima di tutto, mal progettati. Ma col tempo ho capito: non basta più essere “belli”, serve dire qualcosa. E su questa cosa mi sono sempre trovata non d’accordo, di più. Per quelli come me cresciuti a pane ed estetica del Bauhaus, l’estetica e la forma senza sostanza non avevano senso.
In questo senso infatti prima di lavorare a qualsiasi tipo di progetto grafico, faccio parecchie domande, invio un questionario ai miei clienti e mi piace molto ascoltarli. Ma torniamo al focus dell’articolo.
Lo scollamento tra estetica e comunicazione
Per chi come me lavora con l’identità visiva, questo è uno scollamento ostico da accettare.
Se un tempo “essere coerenti” era la regola d’oro, oggi quella coerenza rischia di diventare una gabbia. Se la comunicazione visiva era il luogo della bellezza curata e del messaggio ordinato, oggi sempre più brand scelgono il contrario: sporcano, mischiano, improvvisano, rompono (consapevolmente) il layout.
Il design post-Instagram — un’etichetta comoda che però vuol dire tutto e niente — ci serve qui a indicare una certa estetica levigata, iper-coordinata, patinata, con cui siamo statə abituatə (e in parte abbindolatə). E ora che quel linguaggio sembra superato, il campo visivo si sta aprendo a nuove libertà, più disordinate, più sfacciate.
E nonostante tutto… funzionano.
L’analisi di Eugene Healey: “look nice, say nothing”
Il brand strategist Eugene Healey ha descritto molto bene questo passaggio in un’intervista apparsa su The Dieline, in cui ha definito l’estetica millennial come “look nice, say nothing”, ossia avere un bell’aspetto, senza dire nulla di vero.
Per anni ci siamo fidati della bellezza come leva emotiva. Ma oggi il pubblico sembra chiedere più personalità e meno perfezione (un esempio di super perfect style millennial nell’immagine qui sotto).

Tipiche grafiche millennial style
Il risultato è che non è solo lo stile visivo delle aziende a dover essere rivisto, ma anche il modo in cui noi graphic designer siamo abituati a lavorare.
8 addii estetici da elaborare (e forse metabolizzare)
Ma passiamo a fare degli esempi pratici così da capirci meglio e non “disperare” e buttare alle ortiche le nostre sicurezze fin qui acquisite.
Ci sono almeno otto segni evidenti di questo cambio di paradigma:
- il passaggio dal Minimalismo all’Eclettismo
- dalla coerenza alla spontaneità (con tutto quello che ne consegue in termini di progettazione di questa spontaneità)
- stanchezza evidente rispetto alle griglie instagram ordinate e carine a vantaggio di un’autenticità “disordinata”
- dai pastelli neutri e toni soft Kardashian style ai colori accesi e decisi
- dai font puliti (vi prego in ginocchio, basta col Monserrat) alle tipografie espressive e dissonanti (occhio che soprattutto queste ultime si devono saper maneggiare bene)
- dai brand senz’anima ai contenuti centrati sulle persone
- ma soprattutto, e finalmente, il passaggio dall’estetica al “ecco il mio punto di vista, te lo mostro”
- da immagini statiche ai video brevi, ironici, istintivi (con buona pace di tutti noi che abbiamo dovuto imparare a fare i reel).

Un insieme di grafiche “no-millennial”
Non è solo una questione di stile: è un cambio di mentalità.
Un’estetica che sembrava universalmente “giusta” oggi suona inoffensiva. Il pubblico vuole vedere, ma anche sentire. E magari anche prendere posizione.
Una riflessione personale (non una rinuncia)
Io non voglio fare il funerale della bellezza. Voglio capire che tipo di bellezza può ancora avere senso oggi.
Una bellezza che non sia più sinonimo di perfezione, ma di intenzione. Un’estetica che non esclude il disordine, che non pretende di piacere a tutti, che non si traveste da valore universale o si erge a diventare l’ennesima prova di performance da sostenere.
Perché ammettiamolo, ma tutti quei feed perfetti di famiglie perfette, di ootd perfetti, di 🍑 perfetti, ci facevano stare bene?
Io voglio continuare a usare il design come strumento di senso, non solo di forma. Quindi ben vengano le sollecitazioni urtanti, le nuove sfide e la capacità di rompere le regole, mettersi in ascolto e rifarne di nuove.
Conclusione – Forse la bellezza non basta più, ma resta necessaria
Oggi la bellezza non basta più da sola. Questo possiamo dirlo a gran voce. Smettete di illludervi che un buon design possa coprire le magagne di mancanza di contenuti validi.
Ma questo non significa che sia inutile, o superata.
Significa che ha bisogno di essere coltivata con uno scopo, un messaggio, un’intenzione vera.
Spesso mi è capitato che venissero da me potenziali clienti sperando che la grafica potesse rappresentare il “salvavita” dei loro progetti.
Peccato che erano buone intenzioni ma non reali progetti che si potevano realizzare. Non è un parere giudizievole questo, ma un approccio alla correttezza.
Se pensi di poter venire da me per lanciare nell’iperuranio del successo il tuo brand e non hai pensato prima a valori, intenzioni, pubblico di riferimento, e via di questo passo, la grafica non potrà non essere che un mero esercizio di stile.
Come graphic designer, non possiamo limitarci a costruire cose belle. Dobbiamo costruire cose belle che dicano qualcosa.

Mi chiamo Carolina Frangipane,
Se stai cercando un’identità visiva che tenga insieme bellezza e senso, e non un’estetica “alla moda”, il mio approccio potrebbe fare al caso tuo.
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